Il Signor Fabio V. ha circa cinquanta anni. E’ un manager di una importante multinazionale. E’ stato inviato in uno dei nostri centri da un medico otorinolaringoiatra che da anni lo aveva in cura. Nell’ultimo anno le capacità uditive del Signor F. si erano notevolmente ridotte, costringendolo a una difficile quanto improbabile comprensione delle conversazioni nei luoghi di lavoro in modo particolare nelle riunioni a cui doveva frequentemente partecipare con altri colleghi.
Preso atto dall’aggravamento della condizione uditiva del Sig. Fabio il medico specialista lo aveva convinto a ricorrere all’ausilio di dispositivi acustici. Una terapia in grado di migliorare il livello di ascolto e conversazione del paziente. Le resistenze iniziali del Sig. Fabio vennero superate dalle riflessioni che il medico gli aveva proposto, dalla sottolineatura delle tante difficoltà riscontrate nella vita quotidiana, dalla quasi certezza che, nel tempo, nemmeno troppo lontano, il mancato allenamento delle capacità uditive avrebbe comportato un aggravamento della situazione.
Prima di arrendersi il Sig. Fabio si difese, rivelò la sua maggiore angoscia: cosa avrebbero detto i colleghi, gli amici, quando avrebbero scoperto che lui indossava due dispositivi acustici? Era certo, lo ripeteva dentro di sé, lo avrebbero compatito, deriso no, ma compatito, considerato, ormai, “un vecchio”, un disabile.
Tutte queste cose agitavano il Sig. Fabio mentre si recava in uno dei Centri Acustici Armonia consigliati dal medico specialista. Ricordo bene il Sig. Fabio nella sala d’attesa del nostro centro acustico, seduto accanto a due persone di quasi ottanta anni, imbarazzato, a disagio, nervoso, concentrato sul suo smart phone, quasi come se volesse isolarsi, rendersi, quantomeno, invisibile. Quando arrivò l’ora del suo appuntamento e la mia collega lo chiamò per annunciagli che era arrivato il suo turno, il Sig. Fabio era ancora immerso nei suoi tormenti.
Lo facemmo accomodare nella stanza dove vengono eseguiti i vari test audiologici. Ci consegnò la documentazione del medico specialista. Cercai di rompere la tensione del Sig. Fabio rivolgendogli alcune domande sulle sue abitudini, su come e dove passava il tempo libero, sulla famiglia, lo sport, i viaggi. Parlò e parlammo per un bel po’ di tempo. Fabio raccontava e raccontava, rivelando così, senza esserne consapevole, i suoi disagi nelle relazioni, dovuti esclusivamente alle ridotte capacità uditive.
La mia collega gli spiegò che dovevamo effettuare dei test di approfondimento, non presenti nella cartella clinica, in quanto non rilevanti dal punto di vista del medico specialista ma assolutamente indispensabili per una corretta impostazione del percorso di riadattamento acustico. Iniziammo i test e Fabio collaborò attivamente, senza esitazioni. Il quadro emerso dai vari test non era certamente dei migliori. Soprattutto perché il grafico della discriminazione delle parole era molto critico.
Quella di Fabio è una ipoacusia bilaterale con una evidente caduta sui toni acuti più accentuata sull’orecchio sinistro. Un deficit uditivo dovuto con ogni probabilità alla così detta sindrome di Mèniere, un disturbo dell’orecchio interno che provoca vertigini ( al paziente sembra che l’ambiente circostante ruoti intorno alla sua persona), senso di ovattamento dell’udito, acufeni, cioè ronzii e rumori di diversa natura – dal sibilo del treno al cinguettio degli uccelli – nell’orecchio.
Spiegammo a Fabio che il processo di riadattamento acustico sarebbe stato graduale e che sarebbe occorso tempo. Non gli avremmo restituito l’udito di quando i sintomi della malattia non si erano ancora manifestati, ma la sua situazione sarebbe comunque migliorata. Gli chiedemmo – ottenendola – la sua massima collaborazione a dedicare una seduta settimanale di circa un’ora ai test di riadattamento acustico per non meno di due mesi. Perché effettivamente la situazione era tale e così complessa da richiedere al paziente la massima disponibilità.
Raggiungere un buon livello di confort acustico partendo dalla condizione uditiva appena descritta, fino a qualche anno fa non sarebbe stato possibile.
Oggi ci aiuta la tecnologia dei dispositivi acustici estremamente avanzata e sofisticata ma soprattutto la tecnologia dei sistemi applicativi dedicati alla programmazione degli apparecchi acustici e alla verifica dei risultati ottenuti. E’ bene ricordare che gli investimenti in ricerca e sviluppo del comparto audioprotesico non hanno niente da invidiare a quelli effettuati nei settori industriali più avanzati. I dati forniti al paziente attraverso l’uso dei nuovi sistemi sono oggettivi, documentabili, rappresentati graficamente in modo facilmente comprensibile da pazienti e familiari. Così tutti possono toccare con mano i piccoli passi in avanti fatti seduta dopo seduta. Questo aumenta la fiducia del paziente e la sua consapevolezza di affrontare un percorso di riabilitazione uditiva che richiede tempo.
Fabio – due mesi dopo la prima seduta – fu in grado di avvertire chiaramente le differenze tra la sua condizione uditiva del momento e quella precedente. Per arrivare ad apprezzare veramente e concretamente i vantaggi dell’utilizzo degli apparecchi acustici ci aveva messo due o tre settimane. Un tempo ragionevole. Nei primi giorni del percorso di riadattamento gli sembrava che la sua voce fosse quella di un’altra persona, avvertiva un suono metallico delle parole, subiva il fastidio di rumori che gli erano sconosciuti. Nelle conversazioni doveva ancora seguire attentamente gli interlocutori, non poteva distrarsi. Noi, grazie ai risultati dei test, eravamo abbastanza ottimisti. Mancava però la percezione soggettiva del paziente dei progressi che erano stati fatti. Fabio ebbe la piena ed effettiva consapevolezza dei risultati raggiunti dopo due mesi, come detto. Anche grazie alle persone – colleghi di lavoro e amici – che frequentava più spesso.
Me ne resi conto perché casualmente incontrai Fabio
all’ora di pranzo in un ristorante vicino al nostro centro acustico. Era con dei colleghi di lavoro. Mi presentò spiegando chi ero. Uno dei suoi colleghi mi disse testualmente: “ La devo ringraziare. Perché prima andavo tutti i giorni a pranzo con lui ed era impossibile avere una conversazione normale. Adesso è tutto diverso. Si ride, si scherza….un’altro mondo”. Il collega di Fabio non avrebbe potuto descrivere meglio cosa significa, per una persona con difficoltà uditive ma anche per i familiari e gli amici, ritrovare una qualità di vita e di relazioni dimenticate da tempo.
Per noi una soddisfazione indescrivibile.